Arlington Road - L'inganno film recensione
1999,  Sorprendersi,  Tendere i nervi

Arlington Road – L’inganno

Ah (sospiro) gli anni 90, quando ci si poteva permettere di criticare i film thriller, trovandogli i più svariati difetti e difettucci. Quegli stessi thriller che oggi, in un’offerta molto più scadente e poco originale, sarebbero oro colato. Arlington Road – L’inganno è proprio tra questi.

Il film trae spunto dalla cronaca e dalla paranoia per gli attacchi terroristici, rifacendosi in particolar modo all’attentato di Oklahoma City del 1995. La tensione e il fascino maggiore del film derivano dal fatto che i terroristi o i sospettati come tali, non sono degli invasati, ma potrebbero essere nostri i vicini di casa, una famiglia qualunque.

Michael Faraday (Jeff Bridges), un uomo ancora addolorato dal lutto della moglie, scopre alcune bugie del suo vicino di casa (Tim Robbins) e inizia a indagare sul suo passato, sospettandolo un cospiratore. Ma si tratta di psicosi o di realtà?

Arlington Road mette in scena delle buone idee e un intreccio niente male, ma soprattutto è uno di quei film che apparecchiano la tavola per il gran finale, un colpo di scena che possa stupire lo spettatore e lasciarlo di sasso.

Da questo punto di vista il film non delude, nonostante i difetti millantati dalla critica, per quanto in parte condivisibili. Una regia non di alto livello da parte di Mark Pellington, regista a noi poco conosciuto con una lunga carriera nei videoclip musicali, la cui traccia si nota in alcune sequenze. Ma è stata evidenziata anche la poca plausibilità di alcune situazioni. Nonostante ciò, Arlington Road – L’inganno è un thriller che può essere sicuramente recuperato da chi ama il genere e non cerca i soliti consigli.