atto di forza recensione film
1990,  Avventurarsi,  Fantasticare,  Sorprendersi

Atto di forza

Tre anni dopo RoboCop, Paul Verhoeven prende in mano le poche pagine di Ricordiamo per voi, racconto di  Philip K. Dick, da cui estrapola Atto di forza. Arnold Schwarzenegger simbolo dell’eroe action muscolare, ne è il protagonista perfetto.

Douglas Quaid è un comune operaio edile, con una fissazione in testa: visitare Marte, pianeta colonizzato dall’uomo, dove l’aria si paga in quattrini. La Rekall gli permette di viaggiare sul pianeta rosso, creando nella sua mente una realtà virtuale.

Atto di forza è un’avventura pompata e pomposa che piace, piace tantissimo, con scene d’azione, battute spiritose, trovate visive sia suggestive sia orripilanti e colpi di scena come se piovesse (ma non scontati o fini a sé stessi).

L’incapacità di distinguere realtà e finzione ci mantengono nel limbo della curiosità, in apprensione quanto Douglas, che subisce una perdita di identità, che anzi si duplica e triplica. È, come spesso accade nel cinema, l’uomo comune che si ritrova in situazioni molto più grandi di lui e delle sue possibilità, ma che si scopre poco a poco più in gamba di quello che credeva.

E se Douglas non sa più chi è, diventa complicato capire di chi fidarsi, soprattutto quando le donne sono femme fatales o abili guerriere.

Atto di forza è senz’altro un cult della fantascienza filmica, di cui è stato realizzato anche un remake (mica male neanche quest’ultimo).