film senza musica
Controindicazioni

I migliori film senza musica

La musica nei film

Quella tra la musica e il cinema è una splendida storia d’amore, un rapporto in cui l’uno sembra non poter fare a meno dell’altro. Critici cinematografici, musicisti o semplici appassionati si divertono da anni nello stilare le classifiche delle migliori colonne sonore dei film. Ma ci sono anche rari casi in cui un film è privo del commento musicale. In questo articolo riportiamo proprio gli 8 esempi più virtuosi di film senza musica.


Una breve guida

Prima di partire però, vi consigliamo un ripassino sui 4 elementi della colonna sonora del film e le 7 funzioni delle musiche da film, ricordandovi che la musica può essere diegetica (proveniente da un elemento all’interno della storia e quindi ascoltata anche dai suoi protagonisti) o extradiegetica (quindi udita solo dallo spettatore).


I migliori film senza musica

Non è un paese per vecchi

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©Paramount Vantage, Miramax Films, Scott Rudin Productions, Mike Zoss Productions

È probabilmente l’esempio più emblematico di film senza musica, perché il gioiello dei fratelli Coen è completamente privo di commento sonoro, il quale appare solo a storia finita, sui titoli di coda. La scelta stilistica è coerente al film e contribuisce a creare un senso di soffocamento e tensione, dando così molto più valore al silenzio e ai suoni ambientali, che emergono insieme agli ambienti spogli e spesso sconfinati, come il deserto texano.

Come vedremo anche nel caso di Hitchcock, sono proprio dei registi amanti della musica, a rendere al meglio la sua assenza. In questo caso è stato Ethan e convincere il fratello Joel a farne a meno.

Quinto potere

Il celebre film di Sindney Lumet è privo di musica, fatta eccezione per i commenti sonori di spot e programmi televisivi presenti nella storia. La scelta è dovuta al fatto che il regista temeva che la musica potesse interferire con i dialoghi, ritenuti un elemento cruciale del film.¹

M – Il mostro di Düsseldorf

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©Nero-Film A.G.

Quel capolavoro di M- Il mostro di Düsseldorf è il primo film sonoro di Fritz Lang, che per l’occasione sceglie di non utilizzare la musica. C’è solo un’eccezione, e proprio in quanto tale diviene estremamente potente, oltre che la chiave di volta della vicenda: il IV movimento della suite Peer Gynt op. 46 di Edvard Grieg, fischiettato proprio dal mostro.

Nodo alla gola

Alfred Hitchcock era un genio del cinema e un genio rompe le regole, le sfida. In questo caso si tratta di un film ambientato in un unico luogo e girato come fosse un unico piano sequenza. Ma non è tutto, perché Nodo alla gola è anche sostanzialmente privo del commento musicale. Fa eccezione solo il tema iniziale, che si trasforma in un grido, oltre al suono del piano e del grammofono presenti nel soggiorno. Una scelta non convenzionale per il regista, che con la musica ha fatto la storia del cinema. Si pensi a Psycho, La finestra sul cortile, La donna che visse due volte e via dicendo. Parcheggiato in panchina Bernard Herrmann, Alfred cerca il realismo e trova la tensione proprio dall’assenza della musica.

Gli uccelli

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©Robert Burks, ASC, Universal Pictures.

Senz’altro originale e degna di nota è la casistica de Gli uccelli, privo di musica, se non per quella diegetica suonata da Melanie al pianoforte e la canzone intonata dai bambini. Tuttavia le strida degli uccelli (come evidenziato da Truffaut) sono elaborati come una vera e propria partitura musicale. Con l’aiuto di Bernard Herrmann, Hitchcock ha infatti fatto realizzare il verso degli uccelli elettronicamente. Lo spunto è arrivato da Remi Gassman, compositore tedesco di musica elettronica, che attraverso la assistente del regista propose questa nuova tecnologia. Il risultato è un mix tra suoni reali ed elettronici, con un effetto strepitoso. Si pensi ad esempio alla scena dell’attacco a casa Brenner, dove gli uccelli si sentono ma non si vedono.

Per concludere, un’ultima curiosità. Per permettere agli attori di entrare nella parte, Hitchock ha usato il suono di un tamburo sul set durante le riprese.²

The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair

Si tratta di un esempio che abbiamo citato in molti articoli, per le sue svariate peculiarità. La geniale campagna marketing, un eccezionale esempio di mockumentary e un film a basso budget di grande successo. Il mistero della strega di Blair è anche un film senza musica, in quanto essendo stato presentato come l’unione di reali riprese amatoriali, non poteva certo esistere della musica fuori campo.

Sindrome cinese

Il caso di Sindrome cinese è più controverso rispetto ai precedenti film e merita di essere raccontato.

Michael Small ha infatti composto la colonna sonora del film, ma al regista (James Bridges) e ai produttori non è piaciuta. Hanno quindi deciso di eliminarla e farne completamente a meno, a eccezione della canzone “Somewhere in Between” di Stephen Bishop. Come in altri casi di questo elenco, la musica è comunque sempre diegetica e proviene da radio, jukeboxes e spot tv. Sindrome cinese è inoltre uno dei rari casi di film americani in cui nemmeno i titoli di coda sono accompagnati dalla musica.

Quanto al “povero” Michael Small, nel 2009 la Intrada Records ha rilasciato un CD in edizione limitata (mille copie) con le sue composizioni scritte per il film. Quello che da alcune parti si chiama “contentino”. Pare però che l’album abbia fatto sold out in 24 ore.

Quel pomeriggio di un giorno da cani

Quel pomeriggio di un giorno da cani film senza musica
©Artists Entertainment Complex

Ancora una volta Sidney Lumet ritiene di poter fare a meno della musica nei suoi film (alcuni dei più importanti tra l’altro). Anche nel suo magnifico esordio, La parola ai giurati, la musica era ridotta al minimo. In Quel pomeriggio di un giorno da cani non c’è alcun commento sonoro fuori campo, ma solo tre canzoni, diegetiche, ascoltate alla radio dai personaggi del film.


¹ Sidney Lumet, Making Movies, Knopf Doubleday Publishing Group, 2010.
² Il cinema ritrovato + François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice 1996 + Bill Krohn, Alfred Hitchcock al lavoro, Rizzoli 2000.