shining film recensione stanley kubrick
1980,  Almeno una volta nella vita,  Sorprendersi,  Spaventarsi,  Tendere i nervi

Shining

È il finire degli anni 70 e quel genio di Stanley Kubrick decide di cimentarsi con un nuovo genere: l’horror. Lo spunto è il romanzo di Stephen King, Shining, che il regista, naturalmente, rivede a suo modo.

Ciò che è rimasto a noi, impresso sulla celluloide, è un film iconico. Ricco di scene dalla forza tale da imprimersi per sempre nella mente e, di conseguenza, nella cinematografia. Le gemelle, l’ascensore, la stanza 237, Jack Nicholson che si affaccia alla porta sfondata dalla sua stessa ascia.

La simmetria, i dettagli che cambiano impercettibilmente, la regia, il suono, i colori, le musiche sintetiche, la sceneggiatura, le interpretazioni. Tutto è esattamente come doveva essere, non c’è nulla in più e nulla di meno.

Un artificio filmico bellissimo e spaventoso, di cui potremmo scrivere per ore. E allora è meglio comprarsi uno o due libri e studiarlo, naturalmente dopo averlo guardato e aver cercato di interpretarlo, perché quello sta solo a voi.

Ciò che è certo è che Kubrick guarda al lato oscuro dell’uomo e non certo al paranormale. Forse una pazzia scatenata dalla routine o dall’incapacità di sentirsi realizzati. O forse Shining è un film sugli errori, destinati a ripetersi. O sul destino, sulla reincarnazione.

Forse…