Breach – L’infiltrato recensione film
2007,  Sorprendersi,  Tendere i nervi

Breach – L’infiltrato

Il problema di molti film di spionaggio è che tendono a essere eccessivamente ingarbugliati e verbosi, tanto da far perdere lo spettatore nei meandri della trama e dei nomi citati. Ecco, Breach – L’infiltrato non è così. Distante dai cliché di genere, minimale nella messa in scena e retto fondamentalmente da un gioco a due, tra sorvegliante e sorvegliato.

Attenzione, non siamo di fronte a un capolavoro, ma comunque a un ottimo film di genere.

Eric O’Neill vede finalmente coronarsi il suo sogno: diventare un agente FBI. Il suo primo compito è però piuttosto ingrato, deve investigare sul suo superiore, un veterano prossimo alla pensione sospettato di passare informazioni all’Unione Sovietica.

Breach – L’infiltrato ci porta dentro le mura dell’FBI e in particolare in un doppio ufficio molto frugale e grigio, che contribuisce all’essenzialità dell’opera e al senso di claustrofobia. L’aspetto interessante è che ciò che viene dato per assodato – Robert Hanssen è un depravato e una spia – diventa sempre meno certo nel corso della narrazione, tanto da indurre il dubbio nel protagonista e nello spettatore, nonostante si tratti di un personaggio tutt’altro fuorché simpatico.

Chris Cooper ne dà un’interpretazione ambigua e sgradevole, dunque perfetta, affiancando l’insicuro ma in gamba Eric di Ryan Phillippe. Non mancano momento di ottima tensione e… last but not least, il film è tratto da una storia vera!