omicidio a luci rosse brian de palma recensione
1984,  Cinefili,  Tendere i nervi

Omicidio a luci rosse

Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, arriva un anno dopo Scarface, uno dei maggiori successi commerciali del regista, ed è un giochino cinematografico godibilissimo, che in qualche modo rappresenta la summa del citazionismo verso Alfred Hitchcock. C’è Vertigo, La finestra sul cortile e Psycho, ma anche il tema ricorrente dell’uomo innocente incastrato.

Dopo aver perso il lavoro e la moglie, l’attore Jake Scully trova asilo a casa di un collega e grazie a un binocolo ogni sera alla stessa ora spia una bellissima donna, che si spoglia e si masturba davanti alla finestra.

Il tema principale è quello del doppio, richiamato sin dal titolo, che nell’originale è Body double (ovvero “controfigura”) e che in Italia è stato adattato per far ben capire al pubblico che si troverà di fronte a un thriller erotico.

La maschera e il travestimento sono i mezzi con cui si manifesta la duplicità, che ritroviamo anche nella binomia tra realtà e messa in scena (e quindi, cinema). Lo sguardo, voyeuristico del protagonista, ma anche dello spettatore, viene messo in dubbio e va reinterpretato.

Emblematica e splendida la scena in cui Scully si muove sul set di un film porno: sta recitando o è un dietro le quinte? Sarà un gioco di specchi a rivelarlo.

De Palma fa grande uso dei totali e i suoi protagonisti si muovono come pupazzi in ambienti sempre più ampi e articolati, come nella scena del doppio inseguimento alla bella Gloria Revelle.

La risoluzione nella scena finale è piuttosto improbabile e ci lascia con una nota d’ironia, fino a un epilogo nuovamente sul set, che ci costringe a valutare e rivalutare cosa ci sia di vero in ciò che abbiamo visto in Omicidio a luci rosse.