Quei bravi ragazzi
Quei bravi ragazzi… meglio che divi del cinema. Facevano quello che volevano, quando volevano. Lasciavano le chiavi della Cadillac da parcheggiare, chiedevano e gli veniva dato. Una grande famiglia, potente e violenta. Erano gangster.
È senz’altro tra i migliori film del genere, questo di Martin Scorsese, la cui storia è la parabola, dalla giovinezza all’età adulta, di Henry Hill, ragazzo con un sogno: diventare gangster.
Il messaggio può sembrare fuorviante (e pericoloso, come è già accaduto con Arancia Meccanica): un elogio del criminale e della sua rete, una vera e propria famiglia dove ci si vuole bene, dove ci si aiuta l’un l’altro. Scorsese è bravissimo nel costruire un’epica di tutto ciò. Salvo poi, nel finale, virare fortemente, ribaltare il tutto, dalla trama al senso stesso del film, che si tramuta in un elogio dell’uomo comune.
Poi ci sono Robert De Niro, Joe Pesci e Ray Liotta. C’è una grande storia. C’è un gran film.