House of Gucci
Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci. È questa la battuta più emblematica del nuovo film di Ridley Scott che mette in scena il dramma familiare che ha coinvolto questa famiglia italiana dell’alta moda. Alla sua uscita, House of Gucci ha ottenuto critiche miste, ma un’ottima affluenza di pubblico nei cinema.
Tirando le somme, si tratta di un film che ha il potenziale di accattivare il suo pubblico, con materiale di cronaca che permette di mettere in scena conflitti e passioni, sentimenti d’avidità e d’invidia, fino a sfociare nel crimine. Purtroppo la durata della pellicola (157 minuti) ne stempera gli eccessi e porta lo spettatore a ritrovarsi stanco della visione, proprio nel momento di climax del film (soprattutto se visto in sala, dove vige l’obbligo di indossare una mascherina Ffp2).
Nonostante ciò, alcuni passaggi si svolgono molto rapidamente e il repentino cambio di carattere e di idee di Maurizio Gucci può lasciare perplessi. Lo stessi dicasi per il cugino Paolo, ritratto come un tonto (e questo è un eufemismo).
Di certo vien voglia di documentarsi sulla storia vera, tanto da chiedersi successivamente se non valesse la pena mettere in scena le vicende successive all’assassinio, che hanno poi condotto all’arresto di Patrizia Reggiani. Di House of Gucci conosciamo infatti l’epilogo sin dall’inizio, così come sono indubbie fin dalla prima scena le intenzioni di Lady Gucci, una cui ambiguità, almeno iniziale, avrebbe giovato forse al film.
Ottime invece le interpretazioni, in particolare dei due protagonisti, Adam Driver e Lady Gaga, che compongono un cast di grosso calibro.