Fandango
Il fandango è una danza spagnola, inizialmente lenta e a seguire ritmata, addirittura tumultuosa. Ed è proprio così il film di Kevin Reynolds che, alla sua prima volta dietro la cinepresa, dà vita a un piccolo grande cult. Un gran trambusto, una corsa spericolata in auto e il divertimento sregolato, ma anche un litigio tra amici, l’ombra della guerra alle spalle e un momento di riflessione a spezzare lo spasso.
Quattro amici fuggono insieme verso il Messico, due di loro con la chiamata alle armi, tra il desiderio di restare giovani e le responsabilità a chiamarli: non solo la guerra in Vietnam, ma anche il matrimonio e i doveri morali tra amici.
Fandango è agrodolce. Il suo inno alcolico alla libertà e i momenti di selvaggia e irresponsabile avventura si alternano, al ritmo di una danza rock, alla delicatezza dei sentimenti. La paura di crescere, ma anche l’amicizia e l’amore che si rivelano, dopo le goliardate, in un finale deliziosamente malinconico.
Reynolds ci fa ridere, ma riesce anche a mostrarci quel velo intimo dietro al sorriso.