L’inquilino del terzo piano
Il polacco naturalizzato francese Trelkowski è l’inquilino del terzo piano, affittuario di un appartamento in da cui si è gettata una ragazza suicida. Sono queste le premesse del sontuoso film di Roman Polański, che ci introduce dal turbine della scala del condominio alle turbe della mente.
Poco per volta Trelkowski nota dei dettagli inconsueti e le analogie con la suicida si ripetono ossessivamente, mentre i vicini di casa creano un senso d’oppressione che si annida negli anfratti della sua paranoia.
L’interpretazione del film può essere multipla e soggettiva, dallo stato allucinatorio al nastro di Moebius, fino ai riferimenti alla simbologia egizia, senza trascurare una possibile analogia tra il vicinato e una società asfissiante, razzista e superficiale. Ma è meglio non dir troppo, così come del finale disturbante, per lasciar vivere con la giusta apprensione chi non ha visto questo film.
L’inquilino del terzo piano è ponderato e allusivo nella prima parte, che ai giorni nostri potrebbe per molti significare noioso, ma poi, scivola via con maestria, facendo sgranare gli occhi e alimentando un crescendo di ansia, sgomento e perplessità. Perfetto per chi ama i thriller psicologici (e non solo).