Requiem for a dream
Quattro persone inesorabilmente perdute nell’incubo della vita (e non in una vita da incubo) e il film che ne racconta il declino, come una delirante liturgia. Requiem for a dream di Darren Aronofsky non è solo un film sulla dipendenza, dalle droghe e dalla televisione, ma anche un film sulla disperazione e la debolezza dell’uomo, pervaso da una rassegnata tristezza.
Harry, Tyrone e Marion vivono nel costante sforzo di procurarsi l’eroina, con ogni mezzo possibile, mentre l’infelicità di Sara viene rassicurata dal suo talk show preferito, che inizierà a influenzarla inesorabilmente.
I personaggi di Aronofsky non sono mai sgradevoli, ma persone in difficoltà, che non riescono più ad arrestare la loro discesa. Il monologo di Sara al figlio, in particolare, è terribilmente onesto e tragico nella fatalità delle sue parole, rappresentando uno dei ritratti più strazianti della maternità in età senile.
Infine, in Requiem for a dream come poche altre volte nella storia del cinema, regia e montaggio sono così all’interno della storia da unire la nostra percezione a quella dei protagonisti, rendendo il film una vera e propria esperienza. Questo avviene grazie alla scelta di oltre 2 mila stacchi, di vorticosi movimenti di macchina, split screen, time lapse e primissimi piani.