Rocky Horror Picture Show
Un musical venato di horror, sfumato nella commedia e ammiccante ai b-movie, dal teatro attraverso il cinema, si estrinseca in un cult che dovrebbe essere visto.
Sconcertante e rivoluzionario nel 1975, è ancor oggi irriverentemente attuale e fastidiosamente trasgressivo. Gli ideali del post 68 si esplicitano qui in una allegoria, una parata anticonvenzionale, interrogativa sul concetto di normalità, ostile al perbenismo, in un tripudio di omosessualità, travestitismo, bisessualità, violenza.
Semiotica e citazioni, per omaggiare e irridere, dall’antenna RKO al castello di Dracula, dall’ispiratore Frankenstein allo sguardo al dottor Stranamore di Kubrick, disseminando il tutto d’arte, con la Gioconda, il David, il Discobolo, la Venere di Milo e la Creazione di Michelangelo sul fondo di una piscina a incorniciare il motto di Frank N. Furter: don’t dream it, be it.
Vissuto per noi magistralmente dai suoi interpreti, tra cui Richard O’Brien, l’autore stesso, Tim Curry e Susan Sarandon.
Ma tutto questo sarebbe stato storia senza una travolgente colonna sonora?