Strade perdute
Dialoghi banali, essenziali. Un rapporto che si sgretola sul morbido lenzuolo nero di un letto, celato dal drappo rosso della gelosia e il sospetto. “Dick Laurent è morto” sussurra una voce al citofono, ma chi è? Delle cassette vengono recapitate a casa. La bellissima moglie è probabilmente una fedifraga, forse peggio. Strade perdute, ci fa perdere, per poi ritrovarci e sdoppiarci, confonderci, smarrirci.
Fondato sulla psicanalisi, il film di David Lynch interrompe brutalmente strade narrative, per stupirci e incuriosirci con immagini, parole. Salvo poi riprendere a correre su quella che non è ancora la Mulholland drive, in una nuova vita e nuove storie, che hanno l’eco jazz di quelle precedenti. Ma cosa c’entrano?
Un uomo misterioso, la sessualità esibita e repressa, l’impotenza e la spavalderia, la manipolazione e le pulsioni più torbide e turbi. Il calderone Lynchano ci esplode in faccia. Ci costringe a sforzarci di interpretarlo, assimilarlo, di far coincidere tutti i pezzi di due diversi puzzle, in uno.