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Uomini di parola
Un uomo esce di galera dopo 28 anni e ad aspettarlo c’è il suo migliore amico, di vita e di malefatte, che però ha ricevuto l’ordine di farlo fuori. Uomini di parola dimostra purtroppo che non bastano Al Pacino e Cristopher Walken per fare un buon film.
In realtà il soggetto è interessante: due gangster al tramonto che durante la senilità si ritrovano, riscoprendo i vecchi piaceri, ma anche la vecchia giustizia.
Il problema è però lo sviluppo. Innanzitutto il ritmo, che definirlo blando sarebbe un eufemismo, inficia una buona metà di esso, senza suscitare nemmeno alcuna suspense o malinconia o ancora una mitologia del gangster. La trama procede inoltre per accozzaglia di eventi, che si susseguono in maniera piuttosto casuale e per coincidenze. I due vagano semplicemente guidati da desiderio, soprattutto di Al Pacino, di riassaporare la notte, le donne, il vigore della violenza, il passato, la giovinezza.
Peccato, perché il sottotesto c’è.
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