Green book
Il sole filtra dal parabrezza e illumina il Green Book, il libro con l’itinerario consigliato agli uomini di colore che intendono viaggiare nel sud degli Stati Uniti. A guidare la Cadillac è un italo-americano dal cognome impronunciabile, Vallelonga, mentre a usufruire dei suoi servigi di autista tuttofare è Don Shirley, virtuoso del pianoforte.
Il primo divora ogni pasto come se fosse l’ultimo, rubacchia e non esita ad alzare le mani, mentre il secondo è il suo opposto: elegante e composto, saccente e fragile. È l’incontro scontro tra le due personalità a sprigionare il film, come già ci ha insegnato la storia del cinema. Penso a Virgil e Bill in La calda notte dell’ispettore Tibbs, capolavoro assoluto, ma anche, tra gli esempi più recenti, a Quasi amici.
Funziona. Per questo lo script abbraccia qualche convenzione e quanto mai attrae, affrontando con garbo e sicurezza la questione della discriminazione, assolutamente attuale.
La storia è vera e appassionante, così come le interpretazioni di Viggo Mortensen e Mahershala Ali sono grandi.
Non sono sicuro che Green Book sia davvero il miglior film dell’anno, come ci hanno detto le premiazioni degli Oscar, ma pensando a un’alternativa, non sono (ancora) in grado di trovarla.