rifkin's festival film recensione woody allen
2020,  Cinefili,  Riflettere

Rifkin’s Festival

Un ex insegnante di cinema segue la moglie in Spagna al festival del cinema di San Sebastián, dove lavora come ufficio stampa per un giovane e affascinante regista emergente. Rifkin’s Festival è il nuovo film di Woody Allen, ma è anche così simile alle ultime opere del regista che la scelta di questo aggettivo stona un poco.

Allena mette nuovamente in scena un rapporto coniugale problematico, con la coppia che va via via separandosi, attratti entrambi da desideri e da persone diverse. Il protagonista è ancora l’alter ego del regista, ancor più identificabile dalla scelta di una attore simile per età e aspetto come Wallace Shawn. Il suo Mort Rifkin è snob, nevrotico, ebreo, esistenzialista, cinefilo e newyorkese fino al midollo. La trama, che segue sviluppi analoghi al precedente Un giorno di pioggia a New York, semplicemente si trasla in terra spagnola.

La variazione è che qui il protagonista vive sogni (a occhi aperti e chiusi) legati al suo subconscio e rappresentati dal bianco e nero e dalle riproposizioni di film celebri. Un flusso di coscienza che ammicca all’ di Fellini, che è proprio uno dei film citati insieme a Quarto potere, Persona, L’angelo sterminatore, Jules e Jim e Fino all’ultimo respiro.

Ma evitiamo fraintendimenti: Rifkin’s Festival è un bel film, piacevole, intelligente, arricchito da alcune battute sagaci e qualche dialogo interessante. Il suo problema è che non apporta alcuna variazione sul tema. Nonostante i problemi con gli Amazon Studios e le accuse di molestie sessuali, il meccanismo di Woody Allen è oramai talmente rodato che è filato liscio come l’olio.