The French Dispatch
Bastano pochissime inquadrature per capire che The French Dispatch è un film di Wes Anderson, regista capace di definire un suo stile, unico e riconoscibile, che qui trova espletamento in una nuova storia.
Si tratta di tre inchieste raccontate dai giornalisti stessi, legate dal fatto di appartenere all’ultimo numero del French Dispatch, giornale fittizio ispirato al New Yorker.
Viene spontaneo mettere i vari segmenti a paragone ed è facile evidenziare come il primo (un preambolo sui tempi che passano) sia il più leggero, l’ultimo il più caotico dal punto di vista narrativo e i due centrali i più incisivi. Ma ciò che conta è l’insieme, una parodia del giornalismo che al tempo stesso omaggia quel modo di esercitare la professione che non esiste più, fortemente narrativo, amante dei piccoli curiosi dettagli, che svela i retroscena di chi scrive, immaginando le (dis)avventure dietro gli articoli.
Il tutto è permeato dalle musiche di Alexandre Desplat e dall’umorismo tipico del regista, ironicamente distaccato anche di fronte alle tragicità.
Il lavoro testuale è notevole, tanto che talvolta è difficile seguire parlato e immagini in contemporanea, oltre che ricco di riferimenti culturali.
Infine, è inutile addentrarsi nella (solita) analisi dello stile di Wes Anderson, ma è più interessante constatare la sovrapposizione in questo film dei vari media, con una scena teatrale, il fumetto/cartoon e naturalmente gli scritti e le magnifiche copertine del giornale.
The French Dispatch è un film affine ma inferiore a Grand Budapest Hotel, che resta ancora il migliore del regista, e un’opera che non può soddisfare tutti i palati, ma che senz’altro è degna di nota e di lode.