Black Dahlia
Quella di Elizabeth Ann Short, nota come “La Dalia Nera” è la storia di uno dei più celebri e singolari omicidi degli Stati Uniti, rimasto insoluto. James Ellroy nel 1987 ne fece un romanzo di grande successo e nel 2006, dopo essere stata consegnata nelle sapienti mani di Brian De Palma, la sua vicenda è divenuta un film noir. In Black Dahlia la mano, anzi, l’occhio del regista è evidente. La soggettiva in casa della ricca famiglia Linscott e la ripresa con il dolly, che segue la scoperta del cadavere, ne sono emblema.
La storia è però talmente ricca di personaggi, dialoghi e nomi da ricordare, che a tratti, soprattutto nella seconda parte, è difficile da seguire. Immagini, ad esempio in flashback, non supportano sempre la parola, dunque è arduo talvolta comprendere appieno gli eventi e le motivazioni che hanno spinto tale personaggio a compiere tale azione.
Il cast è di tutto rilievo, ma paradossalmente i comprimari spiccano nelle interpretazioni rispetto ai tre protagonisti, il cui triangolo amoroso è solo sfiorato. Hilary Swank è la femme fatale, mentre Scarlett Johansson la moglie morigerata, ma viene spontaneo chiedersi se forse in fase di casting i ruoli non dovessero essere invertiti.
Chiaramente non siamo di fronte a un film di serie B, lo testimoniano anche i personaggi coinvolti (Vilmos Zsigmond per la fotografia, Dante Ferretti per le scenografia), tuttavia il risultato è inferiore a L.A. Confidential, altro film noir tratto da un romanzo di Ellroy, e senz’altro meno coinvolgente.